FREDDIE MERCURY. UNA BIOGRAFIA INTIMA, Peter Freestone
La massima di Freddie era:“Quanto sei bravo dipende dalla tua ultima performance”
Il libro comincia con un prezioso elenco dei personaggi più importanti nella vita del mitico Freddie, “da consultare per capirne il ruolo nel racconto”. Si parte da”Sua altezza reale, il Principe Andrea, grande appassionato di ballerini” a “Brian Zellis (Jobby), roadie”. E in effetti è una grande trovata, perché il racconto facile non è!
L’impostazione è da memoriale, tant’è vero che la narrazione è in prima persona: “È iniziato tutto nel 1973. La prima volta che
vidi di persona Freddie Mercury fu al Rainbow Room di Londra, un ristorante all’interno
del Biba, un negozio situato nel vecchio edificio noto come “Derry and Toms”,
in Kensington Street. La sua sola presenza aveva un che di magnetico” (...) Nel
1973 i Quuen non erano ancora così famosi, anche se si vedeva lontano un miglio
che Freddie sarebbe diventato una celebrità del rock. Il suo carisma si
riverberava nella sala”.
E noi, che non abbiamo avuto la
fortuna di conoscere quel grande istrione che fu Farrokh Bulsara, non possiamo
che concordare con questa sintetica ma efficace descrizione.
Peter Freeston precisa poi che non fu quella l’occasione in cui lo
conobbe realmente, perché avrebbe “scambiato due parole con lui per la prima
volta solo verso la fine del 1979”. Nel
frattempo egli si trovò un’occupazione full time come costumista del Royal Ballet,
compagnia con cui avrebbe viaggiato in Canada, Nord America, Messico e Grecia,
cosa che gli diede la possibilità di lavorare alla leggendaria Royal Opera House
di Covent Garden, dove avrebbe cantato anche la straodinaria soprano Monserrat
Caballé. Fu così che venne presentato a
Freddie Mercury come costumista della Royal Opera House House addetto al cambio
degli abiti di scena: egli entarva in secna quando erano necessarie rapide
riparazioni o un cambio di costumi durante la performance. Capito che
fortuna? Eppure “gli errori non erano
ammessi”: no, perché Freddie era un perfezionista e non sopportava gli
imprevisti: “Non ostentava le proprie conoscenze o il proprio acume, ma non si
cimentava in niente del cui risultato non fosse sicuro al cento per cento”.
In quell’occasione egli eseguì per la prima volta “Crazy Little Thing
Called Love”, suonando la chitarra, poi in una frazione di secondo si cambiò d’abito
e fu pronto (in un body argentato coperto di lustrini) per l’esecuzione di
Bohemian Rhapsody, suonando il piano. Dopo
la fine dello spettacolo, dato che faceva parte dell’entourage della compagnia
di balletto, fu invitato al night club Legends per un party. Lì scambiò le
prime parole con Freddie e soprattutto conobbe Paul Prenter, che all’epoca era
manager personale di Freddie e dei Queen. Due settimane più tardi, l’occasione
della sua vita: la band cercava una persona disponibile ad andare in tounée al
suo seguito per sei settimane in giro per l’Inghilterra, e lui si propose come
volontario. Ebbe “due settimane di tempo per documentarsi “ sui suoi nuovi
datori di lavoro, dato che non era “un fan del complesso”, perciò non aveva
proprio di idea di quanto lavoro e quanti mezzi “venissero impiegati per l’organizzazione di
un loro show”. Scoprirlo de visu fu per lui un mezzo shock: immensi
bauli con le ruote contenenti costumi su
costumi, cosmetici su cosmetici, stivali e calzature di ogni sorta, e spazzole, “spazzole a non finire”. E tutt’intorno persone indaffarate a fare
cose , tra le quali spiccava Jim Beach,
che allora curava gli interessi della band.
E finalmente le mansioni “da dipendente”: ognuno dei componenti della
band gli fece l’elenco dei costumi di cui aveva bisogno. John si limitò a
chiedere un paio di Kickers nere numero 43 e due T-Shirt bianche a girocollo; Roger
mezza dozzina di polsini tergisudore bianchi e varie paia di calzini bianchi e
neri; Brian due T-Shirt a collo basso, una bianca e una nera. La lista di
richieste da parte di Freddie, invece, fu infinita e variegata, a tratti impossibile.
Poi imparò una regola base del gruppo: per una serata in un luogo di limitate
dimensioni gli abiti di scena dovevano essere neri, altrimenti bianchi.
E la descrizione procede in questo modo dettagliato e accattivante sino
alla fine del libro! Luoghi (ad esempio la preziosa “Casa delle Bambole”),
momenti, eventi, tempistica, occasioni, personaggi. Ma anche aneddoti scherzosi, come
l’appellativo che Freddie gli trovò (ne trovava uno praticamente per tutti):
Phoebe (Artemide), per il semplice fatto che lui gliela ricordava e perché si
sposava benissimo con il suo cognome (!).
Tutto con una precisione impressionante.
Lettura elettrizzante, nel vero senso del termine! Provare per credere.
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