FREDDIE MERCURY- BIO-ROCK, Tommaso Labranca






“Freddie Mercury possedeva un’estensione vocale di tre ottave senza usare il falsetto. Quando si avvaleva del falsetto raggiungeva le quattro ottave”.

In estrema sintesi, un libro che si legge tutto d’un fiato.

Impostato in modo cronologico, la narrazione inizia con la nascita del grande performer il 5 settembre 1946 a Zanzibar e si chiude con la sua morte il 24 novembre 1991 e la decisione da parte della famiglia di non far sapere dove erano state riposte le sue ceneri (per una volontà di segretezza, nulla di più, per evitare che il suo sepolcro diventasse un luogo di caos).
Ordinatamente e con molta precisione di dettagli, Tommaso Labranca ci accompagna per mano nei luoghi e nei tempi del grande Freddie Mercury, partendo dalla descrizione del suo luogo di nascita (“Zanzibar è il nome dell’isola principale di un arcipelago che si trova a 25 km dalle coste della Tanzania. Ma è anche il nome della maggiore città di quell’isola”), dai dati biografici dei genitori Bomi Bulsara e Jer Behranji (“I genitori erano originari del Gujarat, uno Stato dell’India occidentale.  E proprio dalla città di Bulsar, nello Stato del Gujarat, la famiglia prendeva il suo cognome”) e dalla descrizione della sorella, Kashmira (“Fisicamente simile a Freddie, con cui condivide il taglio degli occhi, il colorito olivastro e il fisico esile”).
Quindi seguono tutte le sue “peripezie”: dal quartiere di Zanzibar, Stone  Town, nel 1954 il ragazzino viene mandato dalla madre a studiare presso un collegio inglese di Bombay, la St. Peter’s Boy School, dove i compagni di scuola “cambiarono il nome del ragazzo, anglicizzando l’esotico Farrokh nel più semplice Freddie” e poi “lo chiamavano Tricheco a causa dei suoi denti sporgenti”. Al di là di questo becero gesto di bullismo, gli anni del collegio sono tuttavia positivi per Freddie, che con le sue doti canore e la sua bellezza (vinse anche un concorso di bellezza per bambini!) “conquistava non solo i presidi, ma anche le ragazze” e ben presto si rivelò anche “un giovane pugile promettente”.  Un giovane talentuoso, dunque. Gli insegnanti consigliarono ai genitori di fargli studiare il pianoforte e fu un ottimo consiglio! Rimase a Bombay fino al 1962. Tornò a Zanzibar, ma non era un momento storicamente positivo: “Gli abitanti dell’isola stavano cercando di conquistare l’indipendenza, il clima sociale diventava difficile nei confronti di Indiani e Buddhisti e così i Bulsara, aiutati dal fatto di avere passaporti britannici, decisero di trasferirsi in Inghilterra”. A Londra  Freddie visse con i genitori e studiò, ottenendo il diploma superiore in arte e design grafico, ma lavorò anche (all’aeroporto di Heathrow e in un magazzino di Feltham) e poi si trasferì a Kensington con un amico, Chris Smith. Fu a lui che Freddie un giorno disse: “Non ho più intenzione di essere una star. Ho intenzione di diventare una leggenda!”.
Detto fatto. Da allora egli lavorò a costruire il personaggio leggendario che diventò in poco tempo. L’incontro con gli Smile (e quindi con il chitarrista Brian May e il batterista Roger Taylor). L’incontro con una band di Liverpool, gli Ibex. L’avvio di un’attività commerciale con Brian May (una bancarella nel mercato di Kensington). L’incontro con una band di musica blues chiamata Sour Milk Sea, che cercava un cantante. Il “passaggio” agli Smile quando il loro cantante, Tim Staffell, li abbandonò. La scelta del nuovo nome, Queen (“Un nome semplice, ma ovviamente regale e ha  un suono splendido”), che faceva riferimento a Queen Victoria e all’era vittoriana, di cui Freddie adorava tutto. Il disegno del logo del gruppo, “nel quale aveva riunito i simboli dei quattro segni zodiacali dei membri”. Il cambiamento –per la terza volta- del nome: Freddie Mercury, in onore del pianeta che dominava il suo segno zodiacale, la Vergine.
Da quel momento in poi, i Queen percorrono la strada della storia del rock, segnandola con i loro capolavori. Di ogni album Labranca ci descrive canzoni, immagini, specificità, riscontro del pubblico.
E poi alcuni aneddoti curiosi, come quello dello smalto nero, che fu “galeotto” dell’incontro tra Freddie e l’amore della sua vita, Mary Austin.
Ma anche la descrizione dettagliata dell’ambiente di lavoro. Un lavoro forsennato, certosino, stakanovista. Album che uscivano al ritmo di uno all’anno. Sedute di lavoro interminabili, alla ricerca dell’assoluta perfezione espressiva.
Infine il suo personale calvario, a partire dal 1987, quando gli fu diagnosticata la sieropositività al virus HIV.  L’ipotesi di Brian May che Nureyev possa averlo contagiato. Il suo trasferimento in Svizzera, a Montreaux, alla ricerca di pace e serenità. Il suo ultimo album di successo, “Innuendo”. Il suo ritorno in Inghilterra due settimane prima della morte, “nella sua villa trasformata in una camera d’ospedale”. Il suo triste e secco comunicato stampa, un solo giorno prima che una polmonite se lo porti via: “Desidero confermare che sono risultato positivo al virus dell’HIV e ho contratto l’AIDS. Ho ritenuto opportuno  tenere riservata questa informazione fino a questo momento al fine di proteggere la privacy di quanti mi circondano. Tuttavia è arrivato il momento che i miei amici e i miei fan di tutto il mondo conoscano la verità. Spero che tutti si uniranno a me, ai dottori che mi seguono e a quelli del mondo intero nella lotta contro questa tremenda malattia”.

Un congedo dal mondo e dalla vita degno di un grande performer.

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