FREDDIE MERCURY: I WILL ROCK YOU, LA BIOGRAFIA DEFINITIVA, Lesley- Ann Jones 




“Di certo viveva come se non vi fosse alcun domani”

La biografia  di Lesley-Ann Jones è molto particolare, forse proprio per il fatto che l’autrice è una la giornalista musicale, che fin dai primi anni Ottanta ebbe la fortuna di trovarsi a stretto contatto con i Queen e il loro entourage. La sua particolarità sta nel fatto- evidente sin dalla prime pagine del libro- che essa scandaglia il mito, sfronda via chiacchiere e pettegolezzi e porta alla luce la personalità del grande frontman, che qui ci appare più come un individuo timido e affascinante allo stesso tempo, amante della vita e ditutte le esperienze, ma soprattutto della musica, in tutte le sue forme. L’opera inizia con una preziosa introduzione che ci  aiuta a contestualizzare e che ci catapulta a Montreaux, il “rifugio” degli ultimi anni di vita di Freddie Mercury, dove l’autrice –insieme ad altri due giornalisti come lei e ad un paparazzo- incontrano il mitico cantante per una possibile “esclusiva” che poi decideranno di non pubblicare. Il testo ripercorre quindi gli eventi fondamentali dell'esistenza del cantante, ma non in ordine cronologico- cone ci aspetteremmo. Si parte dalla consacrazione del mito: il Live Aid del 1985 a Wembley. L’autrice ne contestualizza la nascita e l’occasione, partendo dalla personalità del suo ideatore, Bob Geldof, e dalle “trovate” di Do They Know It’s Christmas? e We Are The World, che lo precedettero, in una sorta di klimax. Il clima del Live Aid è descritto alla perfezione: ci sembra di trovarci lì, nel backstage o tra il pubblico, se preferite. Ne percepiamo suoni, movimenti, odori, adrenalina, proprio perché l’autrice era lì e ne ha ricordi e sensazioni precise da buttare su carta! E così noi fortunati lettori “vediamo”, come su un grande schermo, la prestazione “mediocre” di Bono Vox, quella “fallimentare” di Simon Le Bon, la performance eccellente quant’altre mai di Freddie Mercury, che balla, ammicca e canta come se fosse ad un suo concerto organizzato e provato sino alla nausea, non su un palco in cui ha solo venti minuti a disposizione, per di più al sole e non nelle “solite” ambientazioni serali, condite da fumo ed effetti speciali, quelle “coreografie da Queen” rimaste insuperate nei decenni (“Mise in campo tutto il genio del vaudeville. (...) Eterno pavone, Freddie sedusse tutti”). E c’è notevole spazio anche per la descrizione dello stato d’animo di Jim Hutton – scomparso poi nel 2012-, “il modesto parrucchiere che era diventato il nuovo compagno di Freddie poco prima del Live Aid”, che non aveva mai assistito ad un concerto e che lo fece per la prima volta proprio in quell’occasione: per una persona normale come lui “fu semplcemente sbalorditivo”. Non manca il commento del “modesto” Brian May, che commentò: «Noi suonammo bene, ma Freddie diede il massimo e portò l’esibizione a un altro livello. Lì sotto non c’erano solo fan dei Queen, ma Freddie riuscì astabilire un contatto con tutti».
Poi con un flashback ad effetto, si torna a Zanzibar e al “mistero” della nascita di Freddie, con la ricerca del suo certificato di nascita “disperso”. L’autrice parte dal disagio dell’artista a dichiarare pubblicamente le sue radici africane e indiane. Perché? Oggi non sarebbe certo un problema,  perché “più un artista ha un retaggio culturale e musicale oscuro e mischiato, meglio è”, ma probabilmente allora le cose serano diverse. La rockstar DOC era preferibilmente americana; il pedigree preferito era bianco e anglosasone, oppure nero e americano. E quindi quel taglio degli occhi leggermente a mandorla, quel colorito olivastro e quei capelli crespi davano fastidio a Freddie, che cercò in tutti i modi di nasconderli con trucco da scena e tanti colpi di phon prima di ogni concerto. Eppure Zanzibar doveva aver signiicato qualcosa per lui! Per questo la giornalista si mette in viaggio e la raggiunge, alla ricerca di testimonianze e di tracce preziose e soprattutto di conferme ad alcune ipotesi. Tra tutte quella secondo la quale la mitica canzone Seven Seas of Rhye parlva proprio della vita di Freddie a Zanzibar, cosa che l’artista negò sempre, dicendo più di una volta: «I testi delle mie canzoni sono soprattutto di fantasia. Li invento, non sono concreti, sono campati in aria, in un certo senso».
Poi abbiamo il capitolo intitolato “Panchgani”, in cui si parla della solitudine del collegio in India. 
E poi la fuga a Londra e la costruzione del successo planetario della band, fino alla tragica morte per AIDS. 

In sintesi, un racconto documentato, interessante e avvincente come pochi, ben scritto  e ricco di aneddoti, caratterizzato anche dal taglio giornalistico, perfettamente riconoscibile. 

Un libro che non può assolutamente mancare nella libreria di uno sfegatato dei Queen!



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