La guerra nelle parole di Tacito
«Quotiens causas belli et necessitatem nostram intueor,
magnus mihi animus est hodiernum diem consensumque
vestrum initium libertatis toti Britanniae fore: nam et
universi co<i>stis et servitutis expertes, et nullae ultra
terrae ac ne mare quidem securum inminente nobis classe
Romana. ita proelium atque arma, quae fortibus honesta,
eadem etiam ignavis tutissima sunt. priores pugnae, quibus
adversus Romanos varia fortuna certatum est, spem ac
subsidium in nostris manibus habebant, quia nobilissimi
totius Britanniae eoque in ipsis penetralibus siti nec ulla
servientium litora aspicientes, oculos quoque a contactu
dominationis inviolatos habebamus. nos terrarum ac
libertatis extremos recessus ipse ac sinus famae in hunc
diem defendit: nunc terminus Britanniae patet, atque omne
ignotum pro magnifico est; sed nulla iam ultra gens, nihil
nisi fluctus ac saxa, et infestiores Romani, quorum
superbiam frustra per obsequium ac modestiam effugias.
raptores orbis, postquam cuncta vastantibus defuere terrae,
mare scrutantur: si locuples hostis est, avari, si pauper,
ambitiosi, quos non Oriens, non Occidens satiaverit: soli
omnium opes atque inopiam pari adfectu concupiscunt.
auferre trucidare rapere falsis nominibus imperium, atque
ubi solitudinem faciunt, pacem appellant.»
(Tacito, Agricola, Cap. 30)
«Quando ripenso alle cause della guerra e alla terribile
situazione in cui versiamo, nutro la grande speranza che
questo giorno, che vi vede concordi, segni per tutta la
Britannia l'inizio della libertà. Sì, perché per voi tutti qui
accorsi in massa, che non sapete cosa significhi servitù,
non c'è altra terra oltre questa e neanche il mare è sicuro,
da quando su di noi incombe la flotta romana. Perciò
combattere con le armi in pugno, scelta gloriosa dei forti, è
sicura difesa anche per i meno coraggiosi. I nostri
compagni che si sono battuti prima d'ora con varia fortuna
contro i Romani avevano nelle nostre braccia una speranza
e un aiuto, perché noi, i più nobili di tutta la Britannia -
perciò vi abitiamo proprio nel cuore, senza neanche vedere
le coste dove risiede chi ha accettato la servitù - avevamo
perfino gli occhi non contaminati dalla dominazione
romana. Noi, al limite estremo del mondo e della libertà,
siamo stati fino a oggi protetti dall'isolamento e
dall'oscurità del nome. Ora si aprono i confini ultimi della
Britannia e l'ignoto è un fascino: ma dopo di noi non ci
sono più popoli, bensì solo scogli e onde e il flagello
peggiore, i Romani, alla cui prepotenza non fanno difesa la
sottomissione e l'umiltà. Predatori del mondo intero, ades-
so che mancano terre alla loro sete di totale devastazione,
vanno a frugare anche il mare: avidi se il nemico è ricco,
arroganti se povero, gente che né l'oriente né l'occidente
possono saziare; loro soli bramano possedere con pari
smania ricchezze e miseria. Rubano, massacrano, rapinano
e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno
il deserto, dicono che è la pace.»
(trad. it. Mario Stefanoni)
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