L'omeottòto, questo sconosciuto...

Classe quinta liceo, quinta ora di lezione di un faticoso giovedì di metà marzo. 

Stiamo traducendo Classici latini, nel dettaglio passi scelti della giustamente famosa Sesta satira di Giovenale. 

Dopo la traduzione guidata, chiedo ai miei studenti di reperire loro nel passo qualche EFFICACE figura retorica. 
Dal fondo si alza una mano di una studentessa, che con naturalezza mi chiede se in un certo punto non si possa per caso parlare di "omeottoto".  
La mia prima reazione è quella di pensare di aver capito male: forse intende il poliptòto? Ma no! Inizia per omeo-, quindi forse voleva intendere l'omearco oppure l'omeoteleuto! 
Ci confrontiamo. Ci chiariamo con lo "spelling". Ora mi è ben chiara l'etimologia greca (homòia + ptòsis, stesso caso). Ma allora non si dovrebbe chiamare omoioteleuto (o omeoteleuto, che dir si voglia?).  Fino ad oggi ero vissuta serena grazie a lui solo e tutto mi tornava...
Mi arrendo: cerchiamo insieme... 

L'omeottoto o omeoptoto (dal greco homoióptoton, «simile nei casi»), è una figura retorica propria delle lingue flessive (come l'italiano o il latino, ma non l'inglese) che consiste nel far terminare le ultime parole delle frasi con gli stessi casi: per esempio, in latino, due frasi consecutive e correlate che terminano entrambe con un accusativo.
È l'equivalente sintattico dell'omeoteleuto, che consiste invece nel far terminare le parole con le stesse lettere. (Wikipedia dixit)

E niente: questa mi mancava proprio!!!
Che dire? Ho creato dei veri mostri! 😉 

Cari studenti, vi adoro! ❤️ 
Da oggi grazie a voi avrò arricchito il mio personale bagaglio di conoscenze nel campo delle figure retoriche! 

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