Buon 1° maggio 2023!


"Grazie al lavoro gli uomini hanno grandi armenti e son ricchi, e lavorando sarai molto più caro agli dèi e anche agli uomini, perché i pigri hanno in odio. Il lavoro non è vergogna; è l'ozio vergogna; se tu lavori, presto ti invidierà chi è senza lavoro mentre arricchisci; perché chi è ricco ha successo e benessere". 
(Esiodo, Opere e giorni,  vv 311-316).

La concezione esiodea sottesa a questo passo è ben nota a tutti: si tratta della cosiddetta "teodicèa del lavoro". 
E ogni volta che mi ritrovo nella fortunata condizione di doverla presentare a ragazzi (generalmente di un terzo anno del classico, ma non solo) mi sento una privilegiata. Perché una simile concezione del lavoro è davvero sacra. 
Sorvolando sul motivo strettamente personale ed autobiografico per cui Esiodo scrisse quest'opera, possiamo dire che in generale egli segnò la strada della dignità dell'uomo per sempre. 

Sul web ho trovato questo aforisma: "Non sei il lavoro che fai, ma il lavoro che fai ti permetterà di diventare ciò che sei" (Alessandro Guardiani). Evidentemente esso circola perché la communis opinio vuole che "Sei il lavoro che fai". 
E io sono d'accordo, ma non nel senso più semplicistico (=vali quanto il tuo lavoro), bensì in quello più intimistico e filosofico. Innanzitutto perché in italiano è più propria l'espressione* "sono un insegnante/ idraulico/ poeta/ sindacalista/ attore/ medico/ giornalista/ contadino/ pittore/ fornaio/ psicologo/ musicista/ commesso" che "faccio l'insegnante/ l'idraulico/ il poeta/ il sindacalista/ l'attore/ il medico/ il giornalista/ il contadino/ il pittore/ il fornaio/lo psicologo/ il musicista/ il commesso". 
Perché? Perché "faccio" nella seconda espressione vale "rappresento, vesto i panni di". 
E invece il lavoro che facciamo ci rappresenta nelle nostre fibre più interne, si conforma al nostro DNA! 
Ora, probabilmente l'affermazione è troppo tranchant, visto che ai nostri giorni non sempre tutti hanno la fortuna e il privilegio di "fare" il lavoro che amano ed "essere" quindi il lavoratore che meglio li rappresenta dentro. Ma sicuramente rende bene l'idea...

E così - anche in nome del diritto ad AVERE un lavoro, possibilmente dignitoso -  oggi "celebriamo" la Festa dei lavoratori. Attenzione: la "celebriamo", non la "festeggiamo"! 
La ricorrenza, infatti, istituita al Congresso Internazionale di Parigi nel lontano 1889 per ricordare le lotte sociali ed economiche portate avanti dai lavoratori per ottenere e difendere alcuni specifici diritti,  si orientò sul 1°maggio perché tre anni prima, nel 1886, quel giorno una manifestazione operaia a Chicago era stata repressa nel sangue. A metà dell'Ottocento, infatti, i lavoratori non avevano diritti: lavoravano anche 16 ore al giorno, in pessime condizioni, e spesso morivano sul luogo di lavoro.

Come nel caso della cosiddetta "FESTA DELLA DONNA", dunque, noi celebriamo una giornata ricordando una strage avvenuta in quel giorno... Perché la Storia è anche questo: non dimenticare. Mai. 

Ma a me da sempre piace associare la giornata odierna, quella del "Concertone di Piazza San Giovanni" (per i romani), ad un'altra ricorrenza altrettanto "triste" e funesta: la strage di Portella della Ginestra, che avvenne proprio (guarda tu le casualità della Storia) un altro 1° maggio, quello del 1947. Contesto simile, esito identico. 
Andiamo a recuperarne i dati essenziali: 
"La strage di Portella della Ginestra fu un eccidio commesso il 1º maggio 1947 in località Portella della Ginestra, nel comune di Piana degli Albanesi in provincia di Palermo, da parte della banda criminale di Salvatore Giuliano che sparò contro la folla di contadini riuniti per celebrare la festa dei lavoratori, provocando undici morti e numerosi feriti" (fonte: Wikipedia).

Meditiamo, gente, meditiamo! 
Ringrazio la collega Corinna della bella foto. 



*uso il solo maschile per questioni di brevità espressiva! 

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