Consolatio

"IL GIORNO DI DOLORE CHE UNO HA..." 

La vita è fatta anche di giorni di dolore, purtroppo. 
Oggi è uno di quelli. E anche se non mi riguarda direttamente, ogni volta che vengo a sapere che questa situazione capita a qualcuno dei miei cari mi immedesimo (ça va sans dire...) nel loro dolore... 

Allora, come il nostro buon Machiavelli, mi volgo ai classici. 

Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch'io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro.
(NICCOLÒ MACHIAVELLI, Lettera a Francesco Vettori, 10 Dicembre 1513).

E come immaginavo lì trovo SEMPRE un porto a tale tempesta, il dolce approdo sperato...
Per l'occasione sono andara a riprenfere un passo do ina vdlla opera vhe mi capita SEMPRE di citare nelle mie classi quinte, se non anche di tradurla. 

Si tratta della famosa  "Consolatio ad Polybium", scritta da Seneca duroptimil suo esilio in Corsica. Si rivolge a Polibio, appunto, un liberto molto potente dell'imperatore Claudio,  per consolarlo della morte del fratello. Vi è inoltre un forte elogio adulatorio all'imperatore, incentrato per lo più sulla clementia del principe. Essa a dire dell'esule Seneca, è tale che, addirittura coloro che sono colpiti dal duro provvedimento dell'imperatore lo considerano giusto e lo venerano. Questa smaccata adulazione di Claudio e l'allusione a una gradita intercessione di Polibio presso di lui hanno attirato su Seneca accuse di incoerenza e di doppiezza.
Ma al di là di questo, la bellezza dell'opera sta nell'universalità del suo messaggio. 

NE RIPORTO DI SEGUITO UN ESTRATTO, per me il più bello. 
(...) Quod habuisti ergo optimum fratrem in summis bonis pone: non est quod cogites quanto diutius habere potueris, sed quam diu habueris. Rerum natura illum tibi sicut ceteris fratres suos non mancipio dedit sed commodauit; cum uisum est deinde repetiit nec tuam in eo satietatem secuta est sed suam legem. Si quis pecuniam creditam soluisse se moleste ferat, eam praesertim cuius usum gratuitum acceperit, nonne iniustus uir habeatur? Dedit natura fratri tuo uitam, dedit et tibi: quae suo iure usa si a quo uoluit debitum suum citius exegit, non illa in culpa est, cuius nota erat condicio, sed mortalis animi spes auida, quae subinde quid rerum natura sit obliuiscitur nec umquam sortis suae meminit nisi cum admonetur. Gaude itaque habuisse te tam bonum fratrem, et usum fructumque eius, quamuis breuior uoto tuo fuerit, boni consule. Cogita iucundissimum esse quod habuisti, humanum quod perdidisti; nec enim quicquam minus inter se consentaneum est quam aliquem moueri quod sibi talis frater parum diu contigerit, non gaudere quod tamen contigit. 
(Seneca, Consolatio ad Polybium, X).

Ma quanto sono belle queste parole? 
Quanto sono attuali? 
E purtuttavia, basta la lettura di questo passo per "consolarsi" di una grave perdita? Ovviamente no, però si tratta sicuramente di un piccolo balsamo per l'anima...

E con questo mando un grande abbraccio alla persona a me cara che in questo momento si sta accomiatando da una parte di sé... ♡
 

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