Incontro con Erri De Luca a Tbm!

"Sono uno del Novecento, aggiunto ai tempi supplementari degli anni Duemila" 
Leggo da sempre romanzi, racconti e poesie di Erri De Luca. L'ho sempre trovato uno scrittore delizioso. Quando mi è capitato di proporre ai miei studenti qualche sua opera e di chiedere loro una definizione, mi hanno risposto: "È delicato". Questa loro definizione mi è sempre rimasta in mente. E oggi ho scoperto che lui, Erri, è esattamente così: delicato. 
Sentirlo parlare è stata un'emozione unica, un vero balsamo per le orecchie: semplice, umile, per niente superbo nonostante il successo, ma non per questo poco colto, anzi! 
Nella "piazza letteraria" magistralmente messa su dalla libraia Alessandra Laterza al centro commerciale "Le Torri" a Tor Bella Monaca ha intrattenuto la ricca platea degli astanti con una lezione di storia del Novecento di più di un'ora! E non la finiva più! Un vero fiume in piena. Ma un vero fiume di miele, secondo una bella definizione omerica! 

È partito con un'autopresentazione che già dava la misura della sua persona e della sua filosofia di vita: "Mi chiamo con un nome strano, Erri, che nel calendario non ci sta. È una deformazione di un nome americano, con la H r la Y. Per questo mio nome mi sono sempre sentito straniero nella mia città natale, Napoli." 
Poi passa a raccontarci nel dettaglio tutta la sua infanzia: "I libri corrispondevano al mio temperamento. Ci stavo bene dentro! Così ho approfondito la mia indole asociale". Asociale, esatto: motivo per cui oggi Erri non vive in centro abitato, ma in una arricchente solitudine. Ama la natura, fa attività fisica (sempre di più man mano che l'età avanza), non si è mai sposato ("Ho fatto due proposte, due volte, ne ho ricevuto un rifiuto e ne ho preso atto"). 
Passa poi a raccontare la situazione della sua Napoli durante la sua infanzia: aveva la più alta mortalità infantile di Europa. Lui, invece, ha avuto il privilegio di avere scarpe, vestiti, nutrimento sufficiente, possibilità di andare a scuola. E la madre gli faceva notare la differenza, forse per scatenare in lui la vergogna. Questo sentimento, però, non gli appartiene affatto. Al suo posto, nacque in lui un senso di orgoglio e di dignità, frutto della peeziosa semina della madre. 
In particolare, egli ama coltivare la giustizia, che considera un sentimento prima ancora che una serie di articoli di legge. Per questo lo definiscono spesso uno "scrittore impegnato". Ma lui non ci si sente affatto. Si sente, piuttosto, un cittadino, nel senso più antico e piu nobile del termine

A questo punto inizia un lungo excursus sul Novecento, il secolo dei totalitarismi, delle guerre imperialistiche, della negazione delle libertà, delle morti per la Patria. 
Passa quindi a descriverci il suo nuovo libro, "Le regole dello Shangai" (di cui avevo ovviamente chiesto il firmacopia!).  
Si tratta di una storia (ci ha tenuto a precisare che non scrive romanzi, non scrive racconti,  scrive storie) che parte da un incontro: un vecchio orologiaio e una giovane gitana in fuga dal suo nucleo familiare e dalla sua gente. Tra loro si crea una sorta di alleanza. 

Ci spiega quindi l'importanza che ha per lui il concetto di incontro: "Incontro per me è un nome importante ed esclude appuntamenti. Gli incontri avvengono e basta. Così capita con i libri. Come quando ho deciso di leggere la Bibbia. Da non credente". 
Questo mi spiega tanti intrecci di suoi libri da me letti, ad esempio "La doppia vita dei numeri", "L'aiuto" o "Il pannello". Che bello scoprirlo dalla viva voce dell'autore! 

Tornando poi al nuovo libro, ci spiega poi che la tecnica espressiva più usata è ancora una volta il dialogo perché a lui piacciono i dialoghi in quanto "nei dialoghi lo scrittore non c'è. Ci sono solo i trattini e questo basta".  
Inoltre aggiunge di non aver dato ai suoi protagonisti un nome perché lo disturba dare i nomi. La considerate una cosa stramba? Ma no! La spiegazione è semplice: quando legge di un protagonista che si chiama ad esempio Amedeo lui lo collega subito ad un Amedeo che conosce o che ricorda. Quindi meglio non farlo affatto! 

Passa quindi alle riflessioni più esistenzialistiche. Ci spiega di avere un rapporto sereno con la vecchiaia, con la trasformazione del corpo, persino con la morte. Persino con quella dei suoi cari, anche se - da non credente - non ha "mai elaborato il lutto". Il tempo che passa non gli è di conforto. Per questo cerca di immaginare che i cari estinti (ad esempio i suoi genitori, che ha potuto seguire da vicino finché non se ne sono andati...) sono ancora accanto a lui e a loro si rivolge nei suoi dialoghi della vita di tutti i giorni ("Io vivo da solo, quindi ogni tanto ho bisogno di sentire qualche voce. Allora parlo: con i miei cari che non ci sono più, con me stesso. Mi esorto, mi rimprovero da solo"). Rigorosamente in napoletano! Perché l'italiano non è per lui la lingua madre, quindi lo usa per comunicare, ma lo trova artificiale nei momenti in cui deve essere sincero e vero! 

Nel suo rapporto sereno con il tempo che passa, a lui piace immaginare il futuro in cui non ci sarà. 
Così è convinto che ai nostri giorni vecchi e giovanissimi devono costituire una sorta di alleanza. Per il futuro. 
Anzi, è certo del fatto che lo su sta facendo! 

Per concludere, la libraia Laterza fa declamare una bella poesia di Erri, "Quando saremo due". 

Quando saremo due saremo veglia e sonno
affonderemo nella stessa polpa
come il dente di latte e il suo secondo,
saremo due come sono le acque, le dolci e le salate,
come i cieli, del giorno e della notte,
due come sono i piedi, gli occhi, i reni,
come i tempi del battito
i colpi del respiro.
Quando saremo due non avremo metà
saremo un due che non si può dividere con niente.
Quando saremo due, nessuno sarà uno,
uno sarà l’uguale di nessuno
e l’unità consisterà nel due.
Quando saremo due
cambierà nome pure l’universo
diventerà diverso.

E lui ci scherza sopra, si schermisce, dicendo di non essere un poeta ("Anche se qualche poesia me la pubblicano pure..."). Ha sempre definito la poesia 
"righe che vanno troppo spesso a capo" e dichiara di sentirsi sempre "in una approssimazione per difetto". 
Quindi lui a suo avviso non sarebbe un poeta... 
Non c'è niente da fare: scrivere è proprio un dono! 

Nota a margine.
Non potevo non notare un "piccolo dettaglio": ha sempre ascoltato seduto le numerose domande dei presenti e si è SEMPRE alzato per rispondere ad ogni domanda! CAPITE? Oltre tutto, un signore! 

In sintesi (ma tanto sintetica non sono stata, come mio solito...) una preziosissima occasione! 

Grazie agli organizzatori! 

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